Sei nuove pietre d’inciampo per le vittime dei campi di sterminio

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“L’Olocausto è una pagina dell’umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria”. Così Primo Levi invitava a non dimenticare l’orrore dei campi di sterminio. Per il sesto anno le “pietre d’inciampo” tornano a Torino per ricordare le vittime dei crimini nazifascisti.
A posare le Stolperstein (nome originale delle pietre d’inciampo) l’artista tedesco Gunter Demnig, che dal 1992 a oggi ha realizzato a mano e posizionato a pochi passi dalle ultime abitazioni note delle persone deportate circa 74 mila di queste piccole targhe in ottone. Ognuna riporta la dicitura iniziale “Qui abitava”, “Qui ha studiato”, “Qui lavorava”, seguita da nome, data di nascita, di arresto e di morte delle vittime.


Dopo le quindici pose avvenute a inizio 2019, nella mattinata di oggi, 14 gennaio, sono state installate altre sei pietre d’inciampo con l’organizzazione del Museo diffuso della Resistenza. Le pietre presenti in città ora sono in totale 114 (la mappa è aggiornata al 2018).

Tranquillo Sartore (1904-1944), via Franco Bonelli 2

Nato a Giaveno, lavorò come operaio presso lo stabilimento della Fiat Ferriere di Torino. Partecipò agli scioperi del 1944, fu catturato il 4 marzo e consegnato al comando tedesco dopo due giorni di prigionia alle Carceri Nuove. Trasferito a Fossoli, in provincia di Modena, fu deportato al campo di concentramento di Mauthausen. Classificato con la categoria di “prigioniero politico”, morì il 6 aprile del 1944 per pleurite, polmonite e problemi di circolazione, come risulta dal registro dei decessi del campo. La commissione Regionale piemontese per l’accertamento delle qualifiche partigiane nel dopoguerra lo dichiarò partigiano caduto, in quanto membro di una Sap attiva in città. Sartore era sposato con Petronilla Scala e aveva cinque figli. Una di loro, la signora Giulia, compirà 86 anni il prossimo febbraio: “Quella di questa mattina è un’emozione forte, anche a distanza di tanto tempo – ha raccontato al termine della posa – Abitavamo qui in questa casa, al secondo piano. Portarono via mio padre sotto i miei occhi. Da oggi ho un segno per continuare a ricordarlo”.

Marisa Ancona (1926-1945), corso Tassoni 15

Abitò a Torino in via Migliara 23, frequentò la sezione A del Ginnasio del Liceo Classico Cavour, dove è stata posta la pietra che la ricorda. Con l’emanazione delle leggi razziali, nell’autunno 1938 non poté iscriversi al primo anno di liceo. Non si ha traccia della continuazione dei suoi studi. Sfollò nel Canavese probabilmente a causa dei bombardamenti su Torino. Fu arrestata insieme al padre Gastone e al fratello Achille dai soldati della Repubblica sociale italiana e condotta nel carcere di Ivrea. Da lì fu trasferita al campo di Fossoli dove rimase fino al 5 aprile quando fu deportata ad Auschwitz. Prima della liberazione del 27 gennaio 1945, Marisa venne trasferita a Bergen Belsen, nella bassa Sassonia, prendendo parte presumibilmente a una delle terribili marce di evacuazione. Morì in data imprecisata dopo l’11 febbraio 1945.

Francesco Staccione (1894-1945), via Pianezza 10

Fratello di Vittorio ed Eugenio, entrambi calciatori del Torino degli anni ’20. Durante la Prima guerra mondiale fu impiegato da soldato in una delle fabbriche torinesi convertite alla produzione bellica, in qualità di operaio specializzato.
Francesco fu arrestato più volte per attività legate alla sua militanza nel partito socialista, con alcuni periodi di detenzione in seguito all’instaurazione della dittatura fascista. Partecipò all’organizzazione degli scioperi del 1° marzo 1944, avvenimento che causò il suo arresto al rientro in fabbrica. Fu deportato e classificato come “prigioniero politico” nel campo di Mauthausen, trasferito in vari sottocampi, ricoverato nell’infermeria di Gusen l’8 novembre. Dopo questa data non si hanno più notizie su Francesco Staccione fino al 27 marzo 1945, quando fu registrata la sua morte per “debolezza del miocardio e decadimento corporeo generale”, come risulta dal Servizio internazionale ricerche della Croce Rossa.

Alessandro Colombo (1895-1944), Wanda Debora Foà (1914-1944), Elena Colombo (1933-1944), via Giuseppe Piazzi 3

La famiglia Colombo possedeva un’attività di produzione di carta da imballaggi per dolciumi nello stabile vicino a cui sono state poste tre pietre d’inciampo in memoria di marito, moglie e figlia. Affittarono un appartamento al terzo piano dello stesso immobile probabilmente per poter essere più vicini ai locali della fabbrica. Alessandro e Wanda fuggirono a Forno Canavese, dove il 7 dicembre 1943 arrivò una colonna tedesca dopo che un aereo di ricognizione aveva avvistato i partigiani della banda “Monte Soglio”. Elena fu nascosta in un asilo di Carità gratuita.
Detenuti prima alle Carceri Nuove e poi a San Vittore, Alessandro e Wanda furono caricati sul treno in partenza dalla stazione Centrale di Milano con destinazione Auschwitz il 30 gennaio 1944. Sul convoglio c’erano 605 deportati, ne tornarono a casa solo venti. Tra questi Liliana Segre, oggi senatrice.

NADIA BOFFA

LUCA PARENA