La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

La Memoria dei deportati nelle pietre d’inciampo di Torino

Il 27 gennaio di settantatrè anni fa le truppe dell’Armata Rossa liberavano il campo di concentramento di Auschwitz. L’apertura dei cancelli confermava al mondo gli orrori dell’Olocausto. Nella Giornata della Memoria  si ricorda la tragedia dello sterminio nazi-fascista. Il 27 gennaio si ricordano le vittime della Shoah: ebrei, perseguitati politici e militari, omosessuali, gitani, portatori di handicap e ogni “nemico” a vario titolo. Il 27 gennaio si ricorda chi è stato deportato e non ha fatto ritorno, chi è sopravvissuto con la morte nel cuore, chi piange i propri cari e chi ancora ne ha Memoria. Anche con le pietre d’inciampo.

[aesop_chapter title=”Stolpersteine” bgtype=”img” full=”on” align=”center” img=”http://futura.news/wp-content/uploads/2018/01/89BA6643-E19F-4F33-AF92-30EB79EB4A16.jpg” video_autoplay=”on” bgcolor=”#888888″ maxheight=”300px” revealfx=”off” overlay_revealfx=”inplace”]

[aesop_quote type=”block” background=”#999999″ text=”#ffffff” align=”center” size=”2″ quote=”Una persona viene dimenticata soltanto quando si dimentica il suo nome” parallax=”off” direction=”left” revealfx=”fromleft”]

Sono state le parole del Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo, a ispirare le Stolpersteine, pietre d’inciampo, dell’artista tedesco Gunter Demnig. Piccole targhe di ottone incastonate nei porfidi dei marciapiedi, le pietre rappresentano un’iniziativa dal basso unica nel suo genere. Oltre 56.000 pietre in più di 20 paesi europei hanno reso il monumento diffuso di Demnig un’opera senza precedenti. L’obiettivo dell’artista era stimolare una riflessione intima e privata, partendo da un semplice sampietrino. Percorsi quotidiani e comuni angoli di città sono diventati occasione per conoscere i nomi delle vittime della deportazione nazifascista. Un invito a ricordare la tragedia delle persecuzioni ogni giorno.

“Qui abitava”, “Qui ha studiato”, “Qui lavorava”: sono queste le formule riportate sulle pietre, insieme al nome, alla data di nascita, di arresto e di morte delle vittime. La prima Stolperstein venne posata il 16 dicembre 1992, di fronte al municipio di Colonia. La data non era casuale: cinquant’anni prima Heinrich Himmler aveva firmato l’Auschwitz- Erlass, con il quale ordinava la deportazione di cittadini rom e sinti. L’ordinanza segnò l’inizio della “soluzione finale”. Sulla targa di ottone di Colonia sono riportate le parole del decreto siglato da Himmler.

Dopo la prima posa, iniziativa dell’artista, le altre pietre sono state richieste da parenti, amici, persone vicine, che dopo generazioni hanno deciso di ricordare, con un piccolo gesto, ciò che è stato. L’inciampo non fisico, ma virtuale, sul suolo che calpestiamo tutti i giorni, è anche un modo per ridare individualità a chi è stato deportato in massa e un nome a chi si voleva ridurre a numero. L’opportunità per riportare a casa, anni dopo, chi non ha mai fatto ritorno.

Video del Museo Diffuso della Resistenza di Torino

[aesop_chapter title=”Torino” subtitle=”Le pietre d’inciampo” bgtype=”img” full=”on” img=”http://futura.news/wp-content/uploads/2018/01/Cap.2.jpg” video_autoplay=”on” bgcolor=”#888888″ maxheight=”300px” revealfx=”off” overlay_revealfx=”inplace”]

A Torino le pietre d’inciampo sono tantissime: le installazioni raggiungono, nel 2018, le novantatré unità.  Novantatré storie, a volte intrecciate tra loro, che restituiscono la fotografia di una città in guerra. Si tratta della seconda città italiana per numero di pietre, dopo Roma, dove la comunità ebraica era la più numerosa.

Il progetto sul territorio inizia nel 2015, quando vengono collocate 27 pietre, tra il 10 e l’11 gennaio. Durante questa posa viene installata la 50millesima pietra del progetto a livello europeo, un’emozione che porta su Torino l’attenzione internazionale. Grazie al contributo del Museo Diffuso della Resistenza e al lavoro incessante dell’artista, Demnig, le targhe vengono accolte da un profondo affetto cittadino.

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Nel secondo anno, nel 2016, le richieste aumentano e vengono posate quaranta pietre d’inciampo. Un boom di richiedenti, spesso volenterosi di aprire i loro archivi, la loro memoria, a chi voglia ascoltare. Nel 2017 il numero scende a 18 e nel 2018 sono soltanto otto perché, spiegano gli organizzatori, si inizia a privilegiare la diffusione su tutto il territorio piemontese. Vengono posti sanpietrini speciali a Moncalieri, Collegno, Beinasco e in tanti altri luoghi al di fuori di Torino: l’impegno si moltiplica e la Memoria si allarga.

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[aesop_chapter title=”La città” subtitle=”Il clima durante la Guerra” bgtype=”img” full=”on” img=”http://futura.news/wp-content/uploads/2018/01/cap.-3-1.jpg” video_autoplay=”on” bgcolor=”#888888″ maxheight=”300px” revealfx=”off” overlay_revealfx=”off”]

Era il pomeriggio del 10 settembre 1943. Due giorni prima, Pietro Badoglio aveva annunciato alla radio l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile. Per l’esercito tedesco scattava l’operazione Achse. Il mandato: occupare l’Italia centro-settentrionale. I panzer tedeschi entravano ufficialmente a Torino, istituendo in città il comando militare e stroncando ogni forma di opposizione spontanea. La repressione nazi-fascista colpirà gli ebrei, i partigiani, gli antifascisti, gli operai coinvolti negli scioperi del marzo 1944.

Bastava una denuncia per essere arrestati dai repubblichini o dai tedeschi, che, sotto il comando di Alois Schmidt, avevano il loro quartier generale all’Albergo Nazionale di via Roma. All’arresto seguiva la detenzione al carcere Le Nuove e, nel caso degli oppositori politici, l’interrogatorio e la tortura. I prigionieri rimanevano nel “braccio tedesco” in attesa che venisse raggiunto un numero sufficiente per organizzare il trasporto in Germania.  Venivano radunati nel cortile del carcere all’alba e da lì trasferiti in stazione.

La deportazione a Torino inizia il 13 gennaio 1944. A Porta Nuova, dal binario 17, parte un carro bestiame con cinquanta persone a bordo. Destinazione Mauthausen. Da quel giorno, centinaia di uomini, donne e bambini partiranno da Torino diretti ai campi di transito di Fossoli e Bolzano Gries e ai lager nazisti, dove molti di loro non superarono le selezione iniziale e vennero uccisi all’arrivo.

Cittadini torinesi come gli altri, gli ebrei vivevano nella zona residenziale della Crocetta e nelle ville in collina; artigiani e commercianti nelle vie del centro. Alcuni erano iscritti al Partito Nazionale Fascista fino alle leggi razziali del 1938, dopo le quali molti cercarono di abbandonare la città. L’occupazione nazista di Torino, come nel resto d’Europa, li costrinse a fuggire o a nascondersi per scappare da discriminazioni e persecuzioni. Ma non sempre fu sufficiente per sfuggire alla cattura. Le pietre d’inciampo in città ricordano gli ebrei deportati, che trovarono la morte lontano da casa.

Il Piemonte aveva una posizione strategica. Le sue industrie producevano risorse utili alla macchina bellica del Reich. Le sue valli, troppo grandi per essere controllate totalmente dai nazi-fascisti, erano il terreno ideale per organizzare la Resistenza. A Torino come nel resto d’Italia, le giornate erano scandite da rappresaglie e contro rappresaglie. Nella città-fabbrica per eccellenza, la Resistenza si univa al movimento operaio. Le rivendicazioni sociali per salario e orari, si saldavano alla lotta antifascista e alla protesta contro il controllo militare nelle fabbriche, l’arresto dei compagni e la minaccia di deportazione in caso di manifestazioni. Una minaccia che si concretizzò dopo gli scioperi del marzo 1944. Da quel momento, nei campi di concentramento e di sterminio, arrivarono da Torino gli Schutz, i prigionieri politici.

[aesop_character name=”Giorgio Levi” caption=”Giornalista, ha richiesto la posa delle pietre per Giacomo e Giorgio Ottolenghi” align=”left” force_circle=”off” revealfx=”off”]

Tra le pietre d’inciampo a Torino, in corso Sommeiler 35, ci sono anche quelle di Giorgio e Giacomo Ottolenghi, richieste dal nipote, il giornalista Giorgio Levi. L’undici dicembre 1943 i due fratelli camminano verso la stazione di Porta Nuova, per andare a prendere un treno che li avrebbe portati in Svizzera. Poco più avanti rispetto a loro ci sono il padre di Giorgio Levi, Sergio, e la nonna, Michelina. Passano davanti alla sede della Gestapo, in piazza Cln. Sergio e Michelina si voltano, cercano Giorgio e Giacomo con lo sguardo e li vedono strattonati dai tedeschi: i nazisti avevano catturato gli zii di Levi, inghiottiti nell’Albergo Nazionale e mai più ricomparsi. I due vengono portati alle Nuove, da dove Giorgio scrive una lettera a casa, chiedendo oggetti semplici: un pigiama, qualche camicia, un po’ di pane, della cioccolata. Nel gennaio del 1944, dopo un mese, Giorgio e Giacomo vengono portati alla stazione di Milano, al binario 21, e deportati ad Auschwitz su un carro bestiame, il convoglio 06. Da allora la famiglia non ha più ricevuto notizie dei due fratelli. Ancora oggi non è chiaro se siano arrivati entrambi vivi al campo di concentramento. “Noi pensiamo che Giacomo sia arrivato e che forse Giorgio sia morto nelle sue braccia, sul treno, o almeno a noi piace pensare così” ricorda il nipote.

[aesop_parallax height=”300px” img=”http://futura.news/wp-content/uploads/2018/01/2.jpg” parallaxbg=”on” parallaxspeed=”3″ caption=”La lettera scritta da Giorgio Ottolenghi ad una persona di sua conoscenza dal carcere Le Nuove di Torino, prima di essere deportato ad Auschwitz, dopo non ne scriverà altre e di lui non si avranno più notizie” captionposition=”bottom-left” lightbox=”off” floater=”on” floaterposition=”left” floaterdirection=”none” overlay_revealfx=”off”]

Per Giorgio Levi, Giacomo e Giorgio Ottolenghi sono rimaste due foto sul comò finchè il padre, ormai anziano, ha deciso di raccontargli la storia dei fratelli. Percorrendo quel tratto di via Roma per anni evitato, Sergio si è aperto al figlio, ricordando commosso il destino della sua famiglia. Levi racconta così l’idea della posa delle pietre: “Alla fine li ho riportati a casa”.

 

 

[aesop_chapter title=”La memoria nelle scuole” subtitle=”Il Museo Diffuso” bgtype=”img” full=”on” img=”http://futura.news/wp-content/uploads/2018/01/cap.4.jpg” video_autoplay=”on” bgcolor=”#888888″ maxheight=”300px” revealfx=”off” overlay_revealfx=”off”]

A Torino Stolpersteine è anche un progetto didattico. Grazie al Museo Diffuso della Resistenza, le pietre d’inciampo sono al centro di un percorso educativo anche per le scuole. I ragazzi hanno partecipato alle pose, accompagnando il momento con poesie e riflessioni. Il progetto, che dura da ottobre a febbraio, coinvolge gli alunni degli ultimi anni delle scuole primarie e quelli delle secondarie di secondo grado. Il loro compito è ricostruire le biografie delle vittime, partendo dallo studio delle fonti e da un’attività di ricerca e consultazione anche di documenti ufficiali. “La forza del progetto” spiega Federica Tabbò, responsabile dei servizi educativi del Museo “sta nell’unione tra il rigore scientifico della ricerca storica e l’empatia del contatto diretto con i testimoni”.

[aesop_character name=”David Sorani” caption=”Presidente Anavim” align=”left” force_circle=”off” revealfx=”off”]

“L’aspetto didattico è una particolarità di Torino” sottolinea David Sorani, professore e presidente dell’Associazione culturale ebraica Anavim. Con le pietre d’inciampo la Memoria da sentimento individuale e familiare diventa uno strumento di educazione. “L’idea è quella di creare un grande tessuto delle Memoria, trasformando in positivo quella rete di campi di morte che i nazisti avevano creato”.

[aesop_chapter title=”Altre città” subtitle=”Le pietre d’inciampo in Italia” bgtype=”img” full=”on” img=”http://futura.news/wp-content/uploads/2018/01/Cap.5.jpg” video_autoplay=”on” bgcolor=”#888888″ maxheight=”300px” revealfx=”off” overlay_revealfx=”inplace”]

Le Stolpersteine hanno conquistato il cuore di tante città. In Italia ci sono ormai decine di comuni che hanno aderito al progetto, per raccontare la storia di cittadini deportati dei quali serve serbare la Memoria. Roma è la prima città, che ha iniziato nel 2010. Poi Torino, Reggio Emilia, Milano. Oggi ci sono pietre a Bolzano, Brescia, Genova, Chieti, Gorizia, L’Aquila, Livorno, Meina, Merano, Milano, Novara, Ostuni, Prato, Premolo, Ravenna, Reggio Emilia, Siena, Stresa, Teramo, Torino, Venezia, Viterbo. In Piemonte, da quest’anno, le pietre sono state posate in tutti i comuni. Realtà come Lanzo Torinese, Moncalieri, Pinerolo, Condove, Collegno, Coazze, Ivrea, Piasco, Alessandria, Novi Ligure e Acqui Terme hanno installato pietre in questo 2018.

CAMILLA CUPELLI
GIORGIA GARIBOLDI
MARTINA MEOLI