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“Che sogno vincere a Oropa: segna la carriera. Ora amo raccontare le emozioni in radio”

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Da 7 a 1159, e sono i metri sul livello del mare, di strada ce n’è tanta. Tutta in salita, da Boara Pisani, Padova, al Santuario di Oropa, Biella. Ed è un po’ la storia di Massimo Ghirotto, il secondo protagonista del nostro Speciale Giro100.
1993, penultima tappa: si parte da Torino. Pëtr Ugrjumov ha soltanto più l’arrivo in salita di Oropa per provare a strappare la maglia rosa a Miguel Indurain. Non ce la farà, e quell’anno lo spagnolo si porterà a casa l’accoppiata Giro-Tour. Ma davanti a tutti, sul traguardo biellese, ad alzare le braccia al cielo è un altro, proprio Massimo Ghirotto: “Ricordo quella tappa come fosse ieri, indimenticabile. Andai in fuga con Marco Giovannetti, campione d’Italia e vincitore di una Vuelta a España, non proprio l’ultimo arrivato. Sono alto 1.89, pochi pensavano che potessi vincere lassù. Ma quand’ero in giornata sapevo difendermi”.

Che cosa successe, quel 12 giugno?

Pedalando in fuga capii che la gamba c’era. Così, a metà della salita, nel tratto più duro, provai un allungo per testare la sua reazione. Giovannetti non rispose, lo vidi perdere qualche metro. A quel punto capii che era il mio giorno.

È quello il momento della sua carriera che le fa più piacere ricordare?

Oropa è stato speciale, ma l’altro momento indimenticabile è quando ho vinto al Santuario di Bra, sempre in Piemonte, sempre in un luogo sacro. Sono ricordi indelebili. Io credo in qualcosa, vincere in luoghi così per me ha un significato in più. Non dico che sia quello che mi abbia fatto vincere, ma sono misteri che mi porto dentro, a cui credo. Poi ci sono le tappe al Tour, quella alla Vuelta. Le ricordo tutte con piacere, perché le ho guadagnate con sacrificio e cercando la tattica giusta. Non ero né un velocista, né uno scalatore, e nemmeno a cronometro spingevo tanto. Dovevo sempre inventarmi qualcosa.

Sabato il Giro arriva a Oropa. Com’è quella salita?

Non durissima, ma è dura. È una salita a cui bisogna dare del lei. A metà c’è un tratto al 13%, ma a tratti dà respiro.

Che tappa sarà secondo lei? Fuga o lotta tra capitani? Quintana riprenderà la rosa?

Mi aspetto che i capitani la vogliano vincere, perché trionfare a Oropa segna la carriera. Fino a Biella è tutta pianura, e il percorso non è nemmeno particolarmente lungo, perciò sulla carta non dovrebbe essere difficile controllare la corsa. Poi la fuga può sempre andare via, perché ci sono squadre che non hanno interessi nel faticare e nel tirare per evitare che qualcuno parta. Le velocità saranno comunque alte, sulla rampa finale qualcuno potrebbe pagare la stanchezza.

Come vede la lotta per la classifica generale?

Il vincitore non lo voglio dire, ma uscirà tra Quintana, Nibali e Pinot. Vincenzo ha dimostrato di poter ribaltare la corsa in due giorni, come l’anno scorso quando anche io lo davo per spacciato.

E’ stato in corsa, ha esperienza da direttore tecnico, e oggi commenta in radio dalla motocicletta. Ci racconti un aneddoto da tutti e tre i ruoli.

Da corridore sicuramente il Mondiale di Agrigento nel 1994. Fuga con Luc Leblanc, la squadra mi dà carta bianca per provare a vincere. A 200 metri dal traguardo si spegne la luce, mi pianto, finisco fuori dal podio. Sono situazioni che capitano una volta nella vita, ma non ho rimpianti.
Mi sono rifatto da direttore tecnico di un team di mountain bike. Sono ad Atene, Olimpiadi 2004, con Felice Gimondi. Un caldo atroce, noi sotto le piante a cercare rinfresco e seguire la corsa. Julien Absalon vince l’oro e ci regala una gioia immensa.
Da commentatore sto tutti i giorni a due passi dai corridori. Per me è indimenticabile la penultima tappa del Giro dell’anno scorso, a Sant’Anna di Vinadio, quando Nibali vinse la corsa con un’azione incredibile. Quello è stato un giro tribolato per lui e anche per noi che commentavamo ogni giorno la sua corsa: prima la speranza, poi la sfiducia: tutto sembrava perso, poi in due giorni ha ribaltato tutto. Sono momenti che rimangono dentro.

Cosa significa raccontare lo sport, oggi che i computer ci possono sostituire nella cronaca?

Quel che bisogna fare è vivere quelle emozioni e saperle trasmettere fotografando le emozioni mentre scorrono. In radio poi le sensazioni escono dal microfono e finiscono direttamente nelle orecchie di chi ascolta: niente immagini, solo voce. Da ex atleta so cosa passa nella testa dei corridori in quei momenti, e l’emozione è la cosa più bella che possa capitare. Raccontarlo è un privilegio, e quando gli ascoltatori mi dicono che si divertono, che si emozionano ascoltando la radio, allora quello è il complimento più bello che possa ricevere.

Qual è il ciclista più matto che ha incontrato sulle strade?

Nel ciclismo i matti non fanno tanta strada. Il più estroso però è stato Claudio Chiappucci: non sapevi mai cosa gli passasse nella testa la mattina, poteva inventarsi di tutto, anche se non era stato pianificato la mattina. Basta rivedere cos’ha fatto al Tour, al Giro o alla Milano Sanremo quando vinse in discesa.

Com’è il rapporto tra corridori al di fuori della corsa, in albergo?

Una squadra è una seconda famiglia. Tra preparazione e corse, i corridori stanno insieme più di quanto facciano con fidanzate e mogli. C’è la complicità, la condivisione di gioie e delusioni della corsa, ma anche la vita quotidiana. Quando la sera ci si mette a letto, dopo la doccia, il ciclismo lascia il posto anche alle storie personali, a come va a casa, al rapporto con le compagne e i figli. Alle volte ci sono anche difficoltà, ci sono amicizie e rapporti difficili.

Radioline in corsa. Un tempo non c’erano, era meglio o peggio?

Un tempo si improvvisava di più: in corsa si alzava un braccio e arrivava l’ammiraglia, si discuteva in gara e poi si agiva. Oggi questo non accade più. Da una parte si toglie improvvisazione e capacità, da parte del corridore, di pensare in corsa a cosa fare. Dall’altra, essere informati in corsa elimina situazioni di pericolo: quando le macchine dei team dovevano passare in mezzo al gruppo per raggiungere l’atleta potevano crearsi situazioni difficili. I corridori oggi sono sicuramente favorevoli all’uso della radiolina: credo che la loro opinione sia importante.

C’è un problema di sicurezza sulle strade del Giro?

Non direi. Certo, c’è traffico in corsa: un tempo il Giro lo trasmetteva solo la Rai: oggi le macchine si sono moltiplicate. Gli episodi pericolosi, fortunatamente, sono però pochi.