Omicidio Caccia, la Cassazione: Schirripa nel commando che uccise il magistrato

La Cassazione ha confermato l’ergastolo a Rocco Schirripa, l’ex panettiere legato alla ‘ndrangheta, accusato dell’omicidio del procuratore capo di Torino Bruno Caccia. La sera del 26 giugno 1983 Schirripa faceva parte del gruppo di fuoco che sparò e uccise il procuratore. L’ndranghetista, arrestato dalla polizia nel 2015, sta scontando la pena in carcere da 4 anni e due mesi. La sentenza della Cassazione è definitiva e allungherà la pena del detenuto.

“Non credevamo alla fondatezza della sua colpevolezza e confidavamo in una decisione differente da parte della Corte. Questo processo ci è costato una grande fatica e non sono stati effettuati alcuni approfondimenti che ritenevamo necessari”, ha spiegato Mauro Anetrini, uno dei legali di Schirripa. Anetrini aveva presentato un ricorso in Cassazione nel giugno scorso contro la sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano. La Corte nel febbraio 2019 aveva confermato la condanna a Schirripa come esecutore materiale dell’assassinio. Per l’omicidio, che ha avuto un lungo iter giudiziario, partito all’indomani dell’omicidio e che ha alternato differenti fasi, c’era già stata una prima condanna: quella del boss calabrese Domenico Belfiore. Belfiore – ritenuto dall’accusa il mandante del delitto – è stato condannato all’ergastolo nel 1993. Il boss voleva eliminare il magistrato perché costituiva un ostacolo agli interessi della ‘ndrangheta nel capoluogo piemontese.

Bruno Caccia è stato l’unico procuratore generale ad essere ucciso dalla ‘ndrangheta nel Nord Italia. Le inchieste intorno alla sua esecuzione sono state solo alcuni dei filoni di indagine sulla mafia calabrese in Piemonte che, negli anni hanno portato anche ai Processi Minotauro e Colpo di Coda, fino alle vicende degli ultimi mesi  che hanno portato alle dimissioni di uomini politici come il presidente della Regione Valle D’Aosta Antonio Forlon  e l’assessore regionale piemontese Roberto Rosso.

Paola Caccia: “si vada avanti per chiarire tutte le responsabilità”

“Siamo contenti che il procedimento contro Schirripa si sia concluso con la conferma dell’ergastolo: si è capito per certo, com’era già emerso a Milano, che ha partecipato all’omicidio, anche se non è stato chiarito in quale ruolo”, ha commentato Paola Caccia, una dei tre figli del magistrato ucciso. “Nello stesso tempo, come abbiamo ribadito altre volte , come famiglia vogliamo che si vada avanti, anche dopo tanti anni, per far luce su tutte le responsabilità: mancano ancora i nomi degli altri partecipanti, perché all’omicidio hanno partecipato sicuramente più di due persone. Non è stata fatta chiarezza sul vero movente: non ci basta il nome di Belfiore come mandante”.

La famiglia da tempo porta avanti l’istanza di ulteriori approfondimenti su altre persone: “A Milano restano aperti i fascicoli che ci interessano di più, uno in particolare, quello pendente presso il giudice per le indagini preliminari Stefania Pepe, assai corposo, in cui con nostro avvocato di parte civile Fabio Repici indichiamo due nomi precisi come mandante, Rosario Cattafi, e come killer, Demetrio Latella”, spiega la donna. “Il fascicolo è stato aperto a giugno del 2015, però le indagini sono state effettuate non riguardo questi personaggi ma su Schirripa, il cui nome in questo fascicolo non compariva neanche: sulla pista indicata dalla famiglia e dall’avvocato di parte civile non si è indagato”.

E ha concluso: “Ieri in Cassazione il procuratore generale Alfredo Viola nella sua requisitoria ha parlato di trame ampie e complesse  e ha lodato il lavoro delle parti civili, ma, giustamente, ha sottolineato che in questo grado di giudizio altri elementi non possono essere trattati. Se stavolta è corretto, ci fa un po’ arrabbiare che il concetto sia stato ripetuto in tantissime udienze in Corte di assise a Milano: ogni volta che il nostro legale ha provato a chiedere di interrogare testimoni, come colleghi e famigliari, è stato risposto che non era sede, e che il perimetro del processo era limitato a quanto riguarda Schirripa”.

Chi è Bruno Caccia

Nato a Cuneo nel 1917, Caccia è diventato procuratore di Torino nel 1980, dopo aver lavorato per diversi anni come sostituto procuratore nello stesso capoluogo piemontese e come procuratore ad Aosta. Aveva 64 anni quando venne ucciso sotto casa dal gruppo di fuoco ‘ndranghetista.

Nel corso degli anni ’70 Caccia aveva coordinato le indagini dei carabinieri che portarono all’arresto (1974) di Renato Curcio e Alberto Franceschini, leader delle Brigate Rosse. Inoltre il magistrato era stato pubblico ministero durante il processo del 1976 a Torino al cosiddetto “nucleo storico” delle Brigate Rosse.

Durante gli anni ’60 e 70, Caccia, nelle vesti di procuratore, aveva guidato alcune delle più importanti indagini sul traffico di droga e sulle altre attività illegali condotte in Piemonte dalla ‘ndrangheta e dalla mafia.

 

 

 

RICCARDO PIERONI

ADRIANA RICCOMAGNO