Luca De Biase: “La disinformazione non è nata con Internet”

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“Il giornalismo ha la decisiva funzione di connettere la società a un livello culturale in cui si incontrino persone che di solito vivono in bolle diverse e non comunicanti”. Luca De Biase, fondatore e direttore di Nòva, la sezione dedicata all’innovazione del Sole 24 Ore, ha tenuto la lectio “Tutti chiusi nelle nostre bolle? Populisti o tecnocratici” all’Università degli Studi di Torino sulla definizione delle echo chamber (camere dell’eco), quegli spazi, nel e fuori dal web, all’interno dei quali le idee scambiate si confermano, essenzialmente, le une con le altre. “La logica della disinformazione in queste casse di risonanza non è nata con Internet ed è molto difficile da contrastare perché le smentite, anche ben documentate, vengono ignorate o respinte, adducendo spesso a teorie complottiste“.

Sempre più divise in tribù culturali, le persone tendono, secondo la logica dello specchio, a stare insieme ai simili, a gratificarsi, a trovare le loro opinioni confermate, a sentirsi meno male. Sui social, invece si aggregano tra loro secondo il fenomeno algoritmico: se è piaciuto qualcosa, tenderà cioè a piacere anche in futuro, ribadendo così la propria impressione.

Un concetto che rimanda, secondo De Biase, alla nozione di populismo: “Con il capo che interpreta e si rivolge direttamente il popolo, saltando ogni tipo controllo della verità, le persone sposano le idee del capo presenti nelle echo chamber, che non fanno altro che confermare la verità trasmessa e condivisa”. In opposizione ai populisti, i tecnocrati, che vivono rigide forme di burocrazia mentale incapaci di interpretare il cambiamento.

Quale, quindi, il futuro della sfera pubblica? “Il cambiamento che abbiamo di fronte a noi”, spiega De Biase, “non ha la stessa forma leggibile del dopoguerra, quando era facile prevedere lo sviluppo delle città e dell’industrializzazione che sarebbe avvenuto dieci anni più tardi”. Si chiamava società di massa proprio perché il comportamento era ben rappresentato da quello medio. Ora, dal concetto di massa, si è passati a quello di target, in cui è il marketing a farla da padrone.

La fine della concretezza della sfera pubblica, spezzata in target, dà voce a tutti i punti di vista con la stessa legittimità, con i giornali che hanno l’interesse a vendere la stessa pubblicità. “Non è scontato che i giornalisti facciano giornalismo, anche se sarebbe bello”, ammette il direttore di Nòva, secondo il quale l’unica chance degli editori per migliorare la qualità del giornalismo è creare nuove tecnologie editoriali, luoghi in cui si fa esperienza di valore per quelli che le frequentano.

“Le fake news che hanno convinto tanti inglesi a votare per la Brexit sono state parte di un inquinamento mediatico che ha provocato danni incalcolabili alla società. Viste le conseguenze, è una specie di Chernobyl dell’ecologia dei media”. Una metafora utilizzabile per riconoscere alcuni segni di una forma di stress simile all’ecologia naturale: la falsa notizia assomiglia all’inquinamento che distrugge la sostenibilità ambientale.

EMANUELE GRANELLI