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Impeachment a Trump, a che punto siamo?

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La giornata di oggi, 13 novembre, segna un nuovo capitolo nelle indagini per l’impeachment al presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Iniziano le audizioni pubbliche alla Camera dei Rappresentanti di due testimoni chiave, l’ambasciatore ad interim degli Usa in Ucraina Bill Taylor e il vice segretario aggiunto agli Affari europei ed eurasiatici George Kent. Venerdì 15 tocca invece a Marie Yovanovitch, ex ambasciatrice Usa in Ucraina. Tutti e tre hanno già deposto nelle scorse settimane, a porte chiuse, davanti alla Commissione Intelligence della Camera. Il contenuto delle loro dichiarazioni è stato reso noto, ma dalla conferma delle deposizioni e dalle risposte che forniranno alle domande dei deputati Repubblicani dipende il prosieguo delle indagini, avviate un mese e mezzo fa.

Le radici delle indagini

La procedura è scattata il 24 settembre con l’annuncio della speaker della Camera Nancy Pelosi che ha ratificato il voto favorevole all’avvio delle indagini. A porre la condotta del presidente Trump all’attenzione del Congresso è stata la denuncia di un agente dell’intelligence. Secondo la sua testimonianza, la Casa Bianca ha fatto pressione sul presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky per convincerlo a indagare su Joe Biden, tra i favoriti ad essere il candidato democratico nelle elezioni presidenziali del 2020. Trump avrebbe cercato elementi per screditare l’ipotetico avversario facendo leva su una teoria complottistica diffusa negli ambienti della destra statunitense, secondo cui Joe Biden, padre di Hunter, ex dirigente della energy company ucraina Burisma, avrebbe abusato della sua carica di vice-presidente durante l’amministrazione Obama per proteggere il figlio da indagini di corruzione.

La denuncia fa riferimento a una telefonata del 25 luglio tra Trump e Zelensky e alimenta i sospetti di un piano per ricattare il governo di Kiev: in caso di mancato accordo, gli Usa avrebbero sospeso gli aiuti economici di 400 milioni di dollari alle forze militari ucraine. Questa dichiarazione è stata confermata di recente dall’ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Unione Europea, Gordon Sondland.

La strada è ancora lunga

Quella in corso in corso è comunque la fase di indagine a cui non seguirà automaticamente la messa in stato d’accusa del presidente. La procedura di impeachment è effettiva solo nel momento in cui la maggioranza dei membri della Camera ritiene solidi e sufficienti gli elementi di prova raccolti al termine delle indagini. A quel punto il Senato processa il presidente e con la maggioranza dei due terzi dei membri può condannarlo alla rimozione dalla carica.

Secondo la Costituzione degli Stati Uniti d’America, il Congresso può avviare l’impeachment per “tradimento, corruzione o altri gravi crimini”. Nella storia gli unici presidenti finiti in stato d’accusa sono Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1998, entrambi assolti. Nel 1974, Richard Nixon si dimise per lo scandalo Watergate prima del voto decisivo in Senato. Finora quindi nessun presidente degli Stati Uniti è mai stato rimosso dall’incarico.

LUCA PARENA