La testata del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino

Sold out per Bianco all’Hiroshima: “Ci saranno sorprese”

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“Mi piacerebbe salire sul palco dell’Hiroshima e sapere che sarà un concerto come tutti gli altri. Ma questa è la mia città, ci sono le persone che hanno visto nascere il progetto e continuano a seguirmi. Sarà impossibile non cedere all’emozione. Fortuna che la mia band è un porto sicuro”.

Sorride Alberto Bianco, per tutti Bianco, alla vigilia della data torinese. È nel suo studio intento a lavorare. Difficilmente si ferma: “In Italia fermarsi è impensabile. La nostra generazione ha quella sensazione che significherebbe perdersi dei momenti, o addirittura tutto”. Dalla band punk-rock Malibu Stacey, alle collaborazioni con Levante, sua grande amica, fino al tour italiano al fianco di Niccolò Fabi: la carriera di Bianco, poco più che trentenne, è piena di sfide e di scommesse vinte.

Sul palco porterà Qu4attro, l’ultimo album, uscito per Inri lo scorso gennaio. Un disco pensato proprio per essere suonato live. Si tratta di una scelta in controtendenza rispetto ai crescenti artifizi di cui è piena la scena. Come mai?

“In questo momento sento forte l’esigenza di esprimere quello che ho da dire dal vivo. Essere svincolati dal metronomo, con alle spalle dei ragazzi che sul palco sanno il fatto loro, mi permette di farlo al meglio. Ma non mi nego la possibilità di cambiare, di evolvere. Questa è la bellezza dell’artista: scoprire mondi nuovi”.

Di ruoli, infatti, ne ha ricoperti tanti. Autore, compositore, chitarrista, produttore artistico e ora cantautore. In quale si sente più Alberto e meno Bianco?

“Sicuramente scrivere canzoni e infilarci dentro quel che sento. Quando lo faccio, dalla melodia, al testo, al giro di accordi lo faccio da solo. Ecco è allora mi sento realizzato”.

È chiaro quale sarebbe la sua risposta alla domanda che pone in “30 40 50”, primo singolo di Qu4ttro, “Ti sei mai chiesto quello che ti piace davvero?” Una consapevolezza che nel suo primissimo album Nostalgina, nel 2011 rivelava paura. Quando cantava in Splendidi, “Sarebbe un sogno mantenere un figlio con il rock”. Ora è possibile?

“Assolutamente sì, io quel sogno lo sto pian piano realizzando. Bisogna sempre però capire quanto dura. È necessario lavorare e spaziare in tanti ambiti. Per inventare sempre cose nuove. Sarebbe bello fermarsi ma in Italia se ti fermi un attimo finisce tutto. Il nostro lavoro non viene rispettato come professione, non ci sono indennità come in Francia, dove il musicista è un lavoratore. Noi non lo siamo. Se questo per il pubblico significa gioire perché escono di continuo lavori nuovi, artisticamente è negativo. Sono lavori più di pancia, meno ragionati e non sempre soddisfano il potenziale. I bei lavori che escono ultimamente hanno dietro artisti che ci hanno creduto, si sono presi tempo. Come “Infedele” di Colapesce o le sei tracce di “Die” di Iosonouncane: tra il meglio di quanto oggi c’è in Italia. Credo che se potessimo stare più tranquilli dal punto di vista economico, il livello culturale potrebbe guadagnarci. Vale anche per me, mi piacerebbe fermarmi, concentrarmi sulla scrittura e magari far uscire dei brani da aggiungere nei miei live, senza l’ansia del disco, del lavoro completo”.

E poi c’è la scena torinese. Linea 77 e Subsonica starebbero tornando in studio. Poi Levante che accumula sold out in tutto il mondo. A cosa va incontro Torino?

“Torino è una realtà molto lucida, anche sul successo di chi la rappresenta. Questi artisti sono persone con cui è semplice e stimolante confrontarsi. La nostra caratteristica, che riflette Torino, è che non vogliamo assomigliarci. Lo facevamo già da piccoli: se un paio di scarpe lo avevano in quattro, allora non si compravano. Un atteggiamento che mi affascina molto, che mostra sfumature molto differenti, sottili, che vive di contaminazione di persone simili che fanno cose diverse. Non vedo l’ora escano i loro dischi per sentirli. Per non parlare di artisti interessanti come Celona, Nadàr Solo, Simone Carta e molti altri. Progetti che hanno valore a livello nazionale, nonostante nascano da una scena piccola e ridotta. Uscendo di sera a Torino mi rendo conto che si è tornato a fare salotto, ai confronti tra musicisti e gestori dei locali”.

Cosa, invece, manca a questa città?

“Forse proprio la volontà di trovare spazi, punti di ritrovo e agevolazioni. C’è un’amministrazione che sta mettendo i bastoni tra le ruote a chi ha locali e offre location per suonare. Nonostante questo c’è la resistenza di chi lavora bene. Esiste una rete, che va avanti. Prima c’era Giancarlo ai Murazzi. Tantissime tipologie di persone si ritrovavano lì, andavano non per l’ultimo drink, ma per incontrare persone con cui confrontarsi. Oggi i locali interessanti ci sono, anche bei concerti, ma quando non suona nessuno cosa si fa?”

Tornando al concerto di domani sera. Nell’ultimo disco canta “Torino di notte è piccola”. La renderà grande?

“Torino è un grande paese, dove ci si conosce tutti nell’ambiente musicale. Alcuni la leggono come critica. Io salirò sul palco e, come ogni volta, darò il meglio. Ci saranno delle sorprese”.

CRISTINA PALAZZO