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Green New Deal, il progetto per rendere verde l’Europa

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Da Strasburgo ieri, 14 gennaio, è arrivato il via libera del Parlamento Ue al piano verde da 1021 miliardi di euro di investimenti. È il “Green New Deal”, un pacchetto finanziario lanciato dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Il progetto era stato proposto dalla presidente della nuova Commissione durante il discorso di insediamento lo scorso dicembre.

Due sono le proposte centrali della Commissione Ue: un piano di investimenti per il Green Deal (che punta ad arrivare a mille miliardi di euro in 10 anni) e il Meccanismo per la transizione equa (100miliardi di euro in 7 anni, o 143miliardi in 10 anni) per aiutare le regioni europee, che più soffriranno nella transizione verde, verso l’obiettivo della neutralità carbonica nel 2050.

La presentazione del programma di finanziamento del Green Deal ha cercato di rispondere a tre sfide: stabilire quanti soldi destinare alla transizione energetica, l’incognita degli investimenti che potrebbero essere ostacolati dalla percezione del rischio giudicata troppo alta. Ma anche la sfida della coesione, in quanto non tutte le regioni europee sono uguali di fronte ai bisogni richiesti dalla transizione verso la sostenibilità ambientale.

“Una Europa verde non vedrà la luce dall’oggi al domani – ha detto ieri davanti al Parlamento europeo il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis – Inserire la sostenibilità al centro del modo in cui investiamo richiede un cambio di mentalità. Stiamo compiendo un importante passo per raggiungere questo obiettivo”.

Il piano di investimenti Ue per i prossimi dieci anni intende destinare un quarto del bilancio alla lotta ai cambiamenti climatici. Questo grazie al Fondo per la transizione energetica che dovrebbe facilitare, tra il 2021 e il 2027 il percorso verso la neutralità climatica entro il 2050. Dotato di 7,5 miliardi di euro, il Just Transition Fund servirà ad aiutare la svolta dell’industria nei Paesi più in ritardo sul fronte ambientale. All’Italia, come per Francia e Spagna, andrebbero 400 milioni di euro, da destinare a grandi progetti di riconversione industriale.

Da dove provengono le risorse, stimate in 1021 miliardi di euro? La parte più ingente (503 miliardi) dal budget UE, altri 279 da InvestEu, finanziamenti pubblici e privati ( “l’effetto leva”), 114 da confinanziamenti nazionali fondi strutturali, 100 da Fondo Ue per la transizione equa più 25 miliardi di Fondi provenienti dal sistema per lo scambio delle quote di emissione (Ets).
Il Just Transition Fund grazie al cofinanziamento nazionale, al braccio finanziario InvestEu e alla Banca europea degli Investimenti porterà il totale a 100miliardi di euro. “Tutti i Paesi europei riceveranno un aiuto. L’allocazione dipenderà dall’intensità dei problemi ambientali”, ha sottolineato la commissaria ai fondi di coesione Elisa Ferreira. Gli stati, dal canto loro, saranno chiamati a presentare progetti infrastrutturali da far approvare a Bruxelles.

Nonostante possano sembrare molti, nemmeno i mille miliardi totali del piano verde sembrerebbero sufficienti a centrare gli obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2030. Secondo la Commissione la quota necessaria, infatti, sarebbe di 260miliardi di euro l’anno. Nonostante ciò, il commissario all’Economia Paolo Gentiloni ha parlato di uno “sforzo molto rilevante”, pur ammettendo che “c’è bisogno di contributi ulteriori. Se facciamo le cose che oggi abbiamo deciso sugli aiuti di Stato o sugli standard per i green bond, creiamo le condizioni per investimenti di stati membri e di privati”.

La vera battaglia si preannuncia sul Meccanismo per la transizione equa. Se la Commissione parla di 100miliardi di euro in sette anni, i soldi ora disponili sono appena 7,5 miliardi. Quanto spetterebbe ai singoli paesi? Ovvero, quanti dei 7,5 miliardi di euro del piano Just Transition Fund arriverebbero a ciascun stato membro? Questo non è ancora definito. Secondo Gentiloni, all’Italia sarebbero destinate “alcune centinaia di milioni”, probabilmente circa 400milioni. Le risorse sarebbero destinate anche alla decarbonizzazione di industrie ad alte emissioni, come le acciaierie dell’ex Ilva. Questo nonostante il piano iniziale della Commissione prevedesse di concentrare le risorse, per paesi come Italia e Germania, sulla chiusura delle miniere di carbone e lignite. Privilegiando così paesi dell’Est. L’Italia conta di poterne usare una parte per dare un futuro all’ex Ilva di Taranto attraverso “riconversione produttiva” del complesso siderurgico.

Molto dipenderà dai piani che gli Stati membri presenteranno e che dovranno essere dettagliati e rispondere a diversi criteri: la ricchezza nazionale, l’impatto occupazionale, le iniziative di riqualificazione dei lavoratori, la creazione di nuovi posti di lavoro. Starà poi alla Commissione approvarli.

La base sarà un nuovo capitolo dei rapporti Paese che Bruxelles presenterà a febbraio nel quadro del Semestre Europeo: quello della sostenibilità. Se le proposte della Commissione saranno approvate nel contesto del difficile negoziato sul quadro finanziario settennale dell’Ue, si partirà già a metà 2021 con l’obiettivo di ridurre del 40% le emissioni di gas serra entro 10 anni. Per abbattere le temperature medie di 1,5 gradi centigradi e dare così un freno alla preoccupante rotta cui il cambiamento climatico ci sta portando.

RICCARDO LIGUORI