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Giornata contro le mutilazioni genitali femminili: sono praticate in 30 Paesi

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Si stima che ancora oggi ne siano vittime 200 milioni di donne e ragazze in 30 Paesi: le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti umani sanzionata dalle Nazioni Unite. Oggi, giovedì 6 febbraio, si celebra la Giornata Internazionale di Tolleranza Zero per le Mutilazioni Genitali Femminili, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) definisce come “forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”.
“Ora è tempo di mantenere la nostra promessa di raggiungere zero mutilazioni genitali femminili entro il 2030”, hanno scritto in un appello lanciato oggi il direttore generale del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) Natalia Kanem, il direttore generale dell’Unicef Henrietta Fore, il direttore di UN Women Phumzile Mlambo-Ngcuka e il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus.

 

Anche se negli ultimi trent’anni sono stati fatti importanti progressi per eliminare la pratica, nel mondo oggi vivono circa 200 milioni di ragazze e donne che sono state vittime di mutilazioni genitali. Ciò comporta conseguenza fisiche, psicologiche e sociali di lungo periodo. Anche organizzazioni come Save the Children sono impegnate nella battaglia contro questo fenomeno, soprattutto nei Paesi dov’è più frequente: in Etiopia, ad esempio, il 65% delle donne tra i 15 e i 49 anni e il 16% delle ragazze di età inferiore ai 14 anni ha subito una qualche forma di mutilazioni genitali femminili. Nonostante l’impegno assunto dallo Stato africano di eliminare le mutilazioni genitali femminili entro il 2025, la pratica è ancora diffusa soprattutto in età giovanissima: le stime riferiscono che la metà delle bambine circoncise viene operata prima dei cinque anni. Il programma di sostegno di Save the Children ha raggiunto finora 14 milioni di giovani, coinvolgendo 4 mila donne che si impegnano in prima persona per porre fine a questa pratica illegale, attraverso azioni di sensibilizzazione sui gravissimi rischi per la salute che essa comporta.

 

Il rischio della medicalizzazione

Secondo una nuova analisi dell’Unicef, circa una ragazza su quattro vittime di queste pratiche ha subito la mutilazione da parte di personale sanitario. Questa percentuale è doppia tra le adolescenti: il 34% delle vittime tra i 15 e i 19 anni è stato sottoposto a mutilazioni genitali femminili medicalizzate, contro il 16% delle vittime di età compresa tra i 45 e i 49 anni.

“Le mutilazioni autorizzate dal medico sono sempre mutilazioni. I professionisti sanitari formati che le eseguono violano i diritti fondamentali, l’integrità fisica e la salute delle ragazze”, sottolinea Fore. “Medicalizzare la pratica non la rende sicura, morale o difendibile”. La crescita nella medicalizzazione delle mutilazioni genitali femminili deriva infatti da una maggiore attenzione ai rischi di natura medica, invece che sulla violazione fondamentale dei diritti di una ragazza.

Anche se la grande maggioranza delle mutilazioni avviene in Africa, si registrano casi anche in Europa. In Italia la pratica è punita in base alla Legge 9 gennaio 2006, n. 7 recante Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminile, prevede chiunque pratichi l’infibulazione è punito con la reclusione da 4 a 12 anni, pena aumentata di 1/3 se la mutilazione viene compiuta su una minorenne, nonché in tutti i casi in cui viene eseguita per fini di lucro.

ADRIANA RICCOMAGNO