Francia, quando lo stato d’eccezione diventa la normalità

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Per la legge francese lo stato di eccezione dovrebbe avere una durata massima di 12 giorni. Di fatto in Francia durerà 14 mesi, fino al 15 luglio 2017, dopo la quinta proroga approvata dal Parlamento a dicembre. Introdotta nel ‘55 durante la guerra d’Algeria, questa condizione di emergenza sospende il diritto e limita alcune libertà individuali, come quelle di movimento e stampa, a favore del potere costituito. Il Presidente François Hollande lo ha indetto il 13 novembre 2015 mentre gli attentati al teatro Bataclan erano ancora in corso e Parigi viveva uno dei momenti peggiori nella storia. 

“Un simbolo utile per evitare il panico collettivo”, spiega Bernard Manin, ma “il terrorismo non è un fenomeno temporaneo” e mantenere lo stato d’eccezione non è la risposta adeguata. Professore di scienze politiche alla New York University ed esperto di principi governativi, Manin ha affrontato l’argomento insieme al direttore di Repubblica Mario Calabresi a Biennale Democrazia, preoccupato dal fatto che la popolazione francese sta perdendo la percezione di vivere una condizione d’emergenza.

Le misure eccezionali, in gran parte riassorbite nella normativa tradizionale, si sono di fatto concentrate nelle periferie, zone di già difficile integrazione. Qui sono scattati arresti ai domiciliari prolungati, in alcuni casi basati non su atti, ma su sospetti di azione di propaganda. Per il professore si può porre “un limite dei diritti per evitare danni peggiori; a patto però che sia giustificato”, altrimenti si corre il rischio di far perdere fiducia nello Stato. “La proroga è data dalla compresenza di alcune condizioni particolari e ha senso, ma abusarne ne fa uno strumento perverso”.

Nonché inefficace, perché il terrorismo non è una guerra come le altre, e i Paesi occidentali devono fronteggiarlo in modo adeguato. L’impossibilità di determinarne una data di conclusione e la spettacolarizzazione degli attialla ricerca di un’ampia pubblicità, lo distinguono da altri fenomeni di violenza. Poiché la visibilità è l’effetto desiderato dai terroristi “effettivamente i media hanno una responsabilità nel racconto degli attentati” riconosce Mario Calabresi, che aggiunge come d’altra parte “non darne notizia è impossibile, o altrettanto delirante”. 

Il direttore di Repubblica descrive anche una gestione delle immagini che oggi sfugge al controllo tanto del sistema legislativo quanto di quello informativo: video shock vengono messi in rete direttamente e immediatamente da chi si trova sul luogo. Contenuti non filtrati che contribuiscono ad alimentare la paura di nuovi attentati fra la popolazione e per rassicurarla il governo francese ha scelto di prolungare una situazione che dovrebbe essere d’eccezione. Sarà un Paese in cui lo stato di diritto è sospeso ad andare al voto per le imminenti elezioni presidenziali. 

CORINNA MORI