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Baseball, una palestra di vita. La storia dei Grizzlies Torino 48

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In Italia è difficile creare un progetto serio e consolidarlo, il calcio monopolizza soldi e pubblico e per gli altri sport rimangono le briciole». Una dura verità quella di Maurizio Gai, dirigente e responsabile della comunicazione dei Grizzlies Torino 48, squadra torinese che milita nel campionato nazionale di A2 di baseball. Una società nata nel 2000 dalla fusione tra la Di Falco’s Grizzlies (fondata nel 1984) e la Torino 48 Baseball Club guidata dall’ex professionista Orlando Vegni, oggi vice presidente. Una realtà che in vent’anni ha cresciuto ragazzi torinesi e non solo, facendoli avvicinare ad una disciplina quasi
sconosciuta nel nostro Paese.

UNA SCUOLA DI VITA
«Abbiamo squadre iscritte a tutti i campionati giovanili, dall’under 12 all’under 18. Le famiglie non conoscono questa possibilità e spesso siamo noi che andiamo nelle scuole primarie per invogliare i ragazzi a cimentarsi nel baseball. Cominciare a giocare presto, in uno sport dal gesto tecnico molto difficile da compiere, è fondamentale». Non è facile maneggiare (o colpire con la mazza) una palla di 142 grammi scagliata a 50 chilometri orari: è necessario sviluppare i riflessi e l’arte del prevedere, aspetti che migliorano solo se allenati ogni giorno con continuità.
«Un altro passaggio delicato è la gestione del guantone, che deve essere indossato nella mano debole. I bambini non hanno la sensibilità, ma a lungo andare diventa come una protesi».
Lavoro quotidiano e sacrificio sono solo alcuni dei valori su cui si basa questo sport, che Gai definisce come una vera e propria palestra di vita. «Ci sono tante implicazioni mentali che condizionano la prestazione in campo. Si impara a convivere quotidianamente con il fallimento e la frustrazione, i ragazzi devono ripetere i fondamentali centinaia di volte ogni allenamento.
Inoltre diventa basilare la fiducia nei compagni, soprattutto nelle fasi di gioco in cui si corre e si perde il contatto visivo con la palla». Una scuola di fatica e applicazione svolta accanto al manager, una figura che i ragazzi ben presto riconoscono come mentore sportivo e leader dello spogliatoio. Il rispetto dell’altro – allenatore, compagno o avversario che sia – diventa quindi l’elemento centrale in questo ambiente fatto di tanto fair play.

NUOVE SFIDE
Investimenti nei giovani e molta disponibilità di genitori e appassionati: sono queste le armi che hanno permesso ai Grizzlies di diventare una delle realtà più affermate d’Italia.
Per il definitivo salto di qualità manca ancora qualche certezza economica – progetti come Parma, Bologna e Grosseto arrivano a spendere fino a 400mila euro l’anno – e la possibilità di allargare la franchigia di squadre satellite in cui mandare i ragazzi a maturare.
E poi il rapporto con l’amministrazione, mai sbocciato e con tante incomprensioni: «Per il Comune lo stadio è un peso, dopo tre gare d’appalto deserte abbiamo trovato un accordo e ora lo abbiamo in gestione. Fino a qualche anno fa la gente del quartiere non sapeva neanche dell’esistenza dell’impianto, tutti pensavano fosse uno dei soliti campi da calcio. Poi abbiamo usato i nostri fondi per acquistare delle gigantografie e un maxi-schermo dove proiettiamo i risultati della squadra e gli appuntamenti; ora i torinesi sanno chi siamo e il sabato vengono a supportarci, sono piccoli cambi di mentalità che permettono di passare dal dilettantismo a qualcosa di più». Una realtà in espansione che legittima a pensare in grande.
A partire dall’amichevole con la Nazionale del 19 giugno: «Un’occasione speciale per metterci alla prova e acquisire visibilità. La visita di questi grandi campioni deve darci ancora più spinta: l’obbiettivo è creare un gruppo che possa competere stabilmente in A1». Giovani, organizzazione e tanta voglia di crescere: i Grizzlies sono pronti per il grande salto.